Private Equity e sanità specialistica: la nuova frontiera dell’investimento silenzioso

News a cura di Thomas Giuliani

Nel 2025, l’interesse dei fondi di private equity (PE) verso la sanità ha toccato nuovi record, con transazioni globali che superano i 100 miliardi di dollari. Il focus si è spostato soprattutto sulle cliniche e sugli studi medici specialistici – ortopedia, cardiologia, oftalmologia – visti come opportunità per ottenere rendimenti stabili e una crescita scalabile. L’invecchiamento della popolazione e le pressioni sulla spesa pubblica rendono il settore un candidato ideale per operazioni di consolidamento e industrializzazione.

Negli Stati Uniti, questo trend è attivo da anni: esistono già oltre 30 piattaforme PE solo nell’ortopedia. Fondi come Audax, FFL Partners e Shore Capital hanno costruito reti che integrano chirurgia, diagnostica e fisioterapia. In Europa, il caso di Veonet – rete oftalmologica presente in oltre cinque Paesi e sostenuta da PAI Partners e Ontario Teachers’ – dimostra come i sistemi sanitari pubblici possano essere compatibili con modelli PE, se si agisce sulla governance e sui processi decisionali. Anche la cardiologia, storicamente ospedaliera, vede l’ingresso di nuovi attori digitali per la gestione di patologie croniche.

Il modello più diffuso è quello “platform + add-on”: si parte con l’acquisizione di una struttura pilota, si ottimizzano i processi con digitalizzazione e gestione manageriale, poi si espande con acquisizioni simili per generare economie di scala. Oggi il PE non finanzia solo la clinica, ma entra anche nella governance, nel marketing, nella scelta dei fornitori e nella pianificazione fiscale. Questo trasforma i medici-imprenditori locali in operatori di reti nazionali, rafforzando la loro capacità contrattuale con assicurazioni e sanità pubblica.

Ma non mancano le critiche. Uno studio del Journal of the American Medical Association evidenzia che le acquisizioni PE comportano aumenti delle tariffe tra l’8% e il 20%, giustificati dal bisogno di recuperare velocemente l’investimento. Inoltre, la presenza dei fondi nei board ha portato, in alcuni casi, alla chiusura di reparti poco redditizi e a un peggioramento delle condizioni lavorative per i giovani medici. In Europa, si discute l’adozione di regolamenti più rigidi per limitare gli effetti di un’eccessiva “mercatizzazione” della sanità, specie dove ci sono convenzioni pubbliche.

Il trend sembra però destinato a crescere. McKinsey prevede che entro il 2030, oltre il 30% delle cliniche specialistiche nei Paesi OCSE potrebbe finire sotto il controllo di fondi PE o operatori partecipati. I fondi tematici – focalizzati su salute, impatto sociale o digitalizzazione – saranno tra i principali acquirenti, combinando profittabilità e sostenibilità. In Italia, il Ministero della Salute sta monitorando l’impatto del PE sulle strutture convenzionate, mentre regioni come Lombardia ed Emilia Romagna stanno sperimentando nuovi modelli di partnership pubblico-privato basati su KPI clinici.


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