Investment Banking: tra ambizione, opportunità, sacrificio e burnout

Articolo a cura di Mattia Garrasi

Introduzione

Il settore finanziario è una colonna portante dell’economia e rappresenta uno dei mercati lavorativi più importanti, contribuendo infatti alla crescita economica globale, attraverso l’allocazione di capitale, la gestione del rischio e il sostegno allo sviluppo delle imprese. La finanza non riveste solamente un ruolo cruciale per la prosperità dei mercati internazionali e per lo sviluppo dell’economia, ma detiene anche una posizione dominante nell’immaginario collettivo, essendo sinonimo di prestigio e successo, soprattutto nella società capitalistica moderna. Nonostante l’importanza di questo settore, spesso si conosce solo l’aspetto esteriore, tramite le rappresentazioni stereotipate nei numerosi film che trattano l’argomento e dipingono l’ambiente come sregolato, dinamico, prosperoso e affascinante, cosa che in verità non sempre è.

Il prestigio e il successo rendono quindi la finanza molto attrattiva per i giovani studenti di economia che aspirano a intraprendere carriere molto redditizie, assumendo posizioni iniziali come analisti, consulenti finanziari, banchieri e gestori di fondi. Tuttavia, dietro a questa promessa di successo si nasconde una cruda realtà fatta di competizione feroce, ritmi di lavoro che superano le 80 ore a settimana e una pressione costante per ottenere risultati, che spesso portano i dipendenti a livelli elevati di stress e burnout. Il dibattito sull’equilibrio tra vita professionale e personale è oggi, più che mai, attivo, con crescenti polemiche che mettono in dubbio la sostenibilità a lungo termine di questi modelli lavorativi.

I diversi ruoli nel settore finanziario

L’industria finanziaria è vasta e variegata, includendo diversi attori con funzioni specializzate che contribuiscono assieme al funzionamento generale dell’economia globale. L’Investment Banking è probabilmente il settore più noto, conosciuto come “Sell Side”, si occupa di operazioni di finanza straordinaria: fusioni e acquisizioni (M&A), quotazioni in borsa (IPO) e consulenza strategica per grandi aziende. Gli Investment Bankers hanno un ruolo cruciale, operando come intermediari e permettendo il flusso di capitali tra imprese e investitori. Nel campo dell’Asset Management, invece, il focus è la gestione di portafogli per clienti privati e istituzionali, cercando di massimizzare i rendimenti bilanciando opportunità e rischi. Nell’ambito del Private Equity, Venture Capital e Hedge Fund, il cosiddetto “Buy Side”, i professionisti si concentrano su investimenti ad alto rendimento: i fondi di PE si occupano di acquistare e far crescere imprese con il fine di rivenderle e ricavare una plusvalenza, i fondi di VC invece finanziano Start-Up e gli HF attuano investimenti molto avventati, utilizzando un’ampia leva finanziaria per amplificare i rendimenti, accettando un livello di rischio molto alto. Infine, il settore Corporate Finance ha l’obiettivo di ottimizzare le risorse finanziarie interne all’azienda, migliorando la redditività e mitigando il rischio.

Attrattività e sacrificio

Il mondo della finanza è quindi rinomato per i ritmi di lavoro estenuanti e le aspettative implacabili, ma l’attrattività si deve però agli stipendi elevati, essendo sicuramente il settore più profittevole in cui lavorare, i rapidi avanzamenti di carriera e l’opportunità di lavorare con operazioni di grande impatto. Gli studenti di economia e finanza di tutto al mondo, soprattutto i più talentuosi, ambiscono a voler entrare nell’industria, sicuri di potersi assicurare un lavoro redditizio e un futuro prosperoso, con la certezza di poter accumulare, dopo una carriera di 10/15 anni, un patrimonio considerevole. Tuttavia, dietro questa promessa di successo si nasconde una realtà ben più dura. La competizione è feroce, con ritmi di lavoro che, soprattutto per i livelli junior, superano regolarmente le 80 ore a settimana, inclusi i weekend, e in generale la perdita di controllo sul resto della propria vita personale, ritrovandosi così in una situazione di stress, burnout e malessere psicofisico, in cui il lavoro diventa totalizzante.

Ma perché si lavora così tanto? Innanzitutto, a causa della competizione globale, ovvero che le operazioni coinvolgono diversi fusi orari, obbligando i professionisti ad essere sempre disponibili per clienti e partner internazionali. Anche la complessità delle operazioni gioca un ruolo cruciale, fusioni e IPO sono, infatti, processi intricati che richiedono analisi approfondite e una gestione coordinata di più team, inoltre la rapidità di esecuzione è fondamentale per cogliere le finestre di mercato ottimale. Infine, a giocare un ruolo chiave è la cultura degli incentivi sulle performance e lo stretto controllo dei propri superiori. Le promozioni e i bonus sono strettamente legate ai risultati e alla disponibilità dimostrata, creando un clima in cui i dipendenti sono costantemente messi sotto pressione dalle ambizioni dei propri manager, che assegnano obiettivi giornalieri irrealizzabili, richiedono una precisione impeccabile e redigono report settimanali molto accurati. La somma di questi fattori rende il settore altamente dinamico ma anche estremamente esigente, ponendo sfide significative al benessere dei dipendenti. Non è raro che i lavoratori sperimentino ansia, insonnia, depressione, mancanza di riposo, scorretta alimentazione, perdita della vita sociale e deterioramento dei legami familiari e amicali.

Caso Goldman Sachs

Un caso emblematico è stato quello del famoso sondaggio interno condotto nel marzo 2021 da un gruppo di analisti junior di Goldman Sachs, una delle banche di investimento cosiddette Bulge Bracktes, le otto di più grandi e prestigiose al mondo. Questo ha rivelato orari di lavoro che superavano regolarmente le 100 ore settimanali e un drastico deterioramento del benessere psicologico dei dipendenti. I giovani professionisti hanno parlato di condizioni insostenibili, con uno di loro che ha descritto l’ambiente come “abusivo”​. Questo report ha alimentato un acceso dibattito sull’etica del settore e sulle responsabilità delle istituzioni finanziarie verso i propri lavoratori. Inoltre, numerosi ex-dipendenti hanno denunciato apertamente la cultura tossica di alcune banche d’investimento in cui la fatica e la sofferenza vengono normalizzate e dove ammettere difficoltà è percepito come segno di debolezza. In risposta a critiche simili, recentemente JPMorgan ha fissato un tetto informale di 80 ore settimanali, e ha introdotto alcune iniziative come il limitare l’invio di mail nel weekend o garantire pause pranzo più lunghe, ma hanno avuto un impatto limitato poiché la natura frenetica e competitiva rimane comunque presente e fondamentale per progredire e fare carriera. Questa situazione generale fa sì che nell’industria ci sia un elevato turnover dei dipendenti, i quali resistono a ritmi così pressanti solo pochi anni e abbandonano per cercare un equilibrio migliore in altri settori.

Conclusione In questo ambiente, in cui l’efficienza e la rapidità sono imprescindibili, riuscire a migliorare le condizioni di lavoro rappresenta una sfida complessa e la risposta alla domanda se l’IB troverà mai un equilibrio tra la ricerca del profitto e il benessere dei suoi dipendenti, rimane ancora fumosa. Nonostante ciò, l’industria ha di fronte a sé una possibilità di cambiamento, che potrebbe essere attuata incentivando i middle manager a promuovere pratiche sane e sostenibili, oppure ripensando i modelli di valutazione delle performance, mirando a investire nel benessere delle persone anche per trarne un vantaggio economico successivo. Per chi invece ambisce a una carriera in finanza, il trade-off tra benefici materiali e aspettative di carriera a scapito del benessere personale, mette spesso in dubbio gli aspiranti banker, che però spesso finiscono comunque per lavorare in questi ambienti, pentendosene e cambiando strada successivamente, una volta provato sulla propria pelle questo stile di vita nocivo.


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