Articolo a cura di Thomas Giuliani @t_thomas._
Introduzione
L’Italia esprime una produzione rilevante di ricerca scientifica, brevetti e spin-off universitari, ma la trasformazione di queste conoscenze in imprese deep-tech resta lenta e frammentata, soprattutto nelle fasi iniziali. Le tecnologie con potenziale industriale rimangono spesso confinate nei laboratori perché mancano strumenti dedicati e capitali adeguati a sostenere proof-of-concept, prototipi e validazioni su scala industriale.
Investimenti in crescita, ma non allineati al deep-tech
Nel 2024 gli investimenti in startup e scaleup italiane hanno raggiunto circa 1,5 miliardi di euro, distribuiti su oltre 400 round, con una crescita di circa il 28–30% rispetto al 2023. La maggioranza delle operazioni riguarda fasi pre-seed, seed e bridge, ma con ticket medi ancora contenuti rispetto alle esigenze tipiche dei progetti deep-tech, che richiedono infrastrutture di laboratorio, materiali avanzati e cicli lunghi di test. Il deep-tech è tra i settori con il maggior numero di round, ma la quota di capitale raccolto rimane inferiore rispetto a comparti come life sciences, smart city o software, segnalando un sotto-finanziamento relativo di iniziative molto capital intensive.
Il divario europeo
Nel confronto europeo, l’Italia risulta ancora in ritardo nella capacità di trasformare ricerca pubblica in imprese deep-tech ad alto impatto. Paesi come Francia e Paesi Bassi hanno sviluppato da anni fondi dedicati alla proof-of-concept, programmi nazionali per la validazione tecnologica e strutture universitarie di trasferimento tecnologico con organici e budget più consistenti, che permettono una costituzione degli spin-off in tempi mediamente più rapidi. In Italia il numero complessivo di spin-off della ricerca pubblica è cresciuto, ma la quota che opera in settori deep-tech ad alta intensità di capitale rimane più bassa rispetto ai principali ecosistemi europei, e la fase di go-to-market è spesso più lenta.
Dove si concentrano i colli di bottiglia
Il principale collo di bottiglia riguarda la valorizzazione economica della ricerca, non la sua qualità o quantità. I Technology Transfer Office italiani operano in molti casi con team ridotti e risorse limitate, pur facendo parte di una rete nazionale (Netval) che aggrega decine di università ed enti di ricerca e oltre 1.800 spin-off complessivi, segno di un ecosistema in crescita ma ancora “a due velocità”. Anche la collaborazione strutturata con le imprese rimane inferiore al potenziale: i progetti congiunti università–industria e le iniziative di corporate venture capital stanno aumentando, ma coinvolgono ancora una frazione ristretta del tessuto produttivo rispetto a quanto avviene nei paesi europei più maturi.
Conclusioni
Il pre-seed deep-tech in Italia è frenato soprattutto da una filiera di trasferimento tecnologico e di investimento che non copre in modo sistematico la fase di proof-of-concept e di validazione industriale. Per sbloccare il potenziale accumulato nei laboratori servono fondi specializzati, TTO più strutturati e una collaborazione più intensa con l’industria, così da trasformare un patrimonio di ricerca già competitivo in una pipeline stabile di imprese deep-tech scalabili.
