Nick Leeson: il Trader che Fece Crollare la Banca della Regina

Come 827 milioni di sterline di perdite hanno spazzato via Barings Bank e riscritto i manuali di risk management

Articolo a cura di Raffaele Mascolo

Introduzione

Nel febbraio 1995 il mondo finanziario assiste a qualcosa che, fino a quel momento, era stato considerato quasi impossibile: Barings Bank, la più antica banca d’affari britannica – fondata nel 1762, banca di fiducia della famiglia reale – viene dichiarata insolvente nel giro di pochi giorni.

Al centro della vicenda non c’è un complesso complotto internazionale, ma un singolo uomo: Nicholas “Nick” Leeson, 28 anni, trader di derivati a Singapore. La sua storia è diventata un simbolo di rogue trading, ma anche il promemoria perfetto di cosa succede quando incentivi distorti, controlli inesistenti e cultura aziendale compiacente si incontrano.

Chi è Nick Leeson

Nick Leeson nasce a Watford nel 1967 in una famiglia modesta. Non è un prodigio: a scuola fatica, arriva a ripetere l’esame di matematica e non frequenta università prestigiose. La sua scalata parte “dal basso”, come impiegato amministrativo in varie banche della City.

Nel 1989 Barings lo assume. Leeson si distingue per energia, ambizione e una capacità notevole di muoversi tra procedure e mercati. Nel 1992 viene mandato a Singapore a guidare Baring Futures Singapore (BFS), la filiale incaricata di operare sui futures sul Nikkei 225 tra il Singapore International Monetary Exchange (SIMEX) e l’Osaka Stock Exchange.

Sulla carta, il mandato è prudente: fare arbitraggio tra due mercati, sfruttando minime differenze di prezzo con rischi contenuti. Nella pratica, però, accade qualcosa che oggi qualsiasi manuale di finanza considererebbe un “red flag” gigantesco: Leeson controlla sia il front office che il back office.

Decide dunque le operazioni, le esegue, le registra e verifica le riconciliazioni. In un’unica persona si concentrano poteri che dovrebbero essere rigidamente separati. Ma a Londra arrivano solo i numeri: nel 1993 le sue operazioni rappresentano circa il 10% dei profitti complessivi del gruppo. È la “rising star”, l’uomo che stampa utili. Nessuno ha voglia di fargli troppe domande.

Nasce il conto 88888: da errore di routine a buco nero

La svolta arriva nel luglio 1992. Un nuovo collega commette una piccola perdita su una transazione. In un sistema sano, si registrerebbe l’errore e si chiuderebbe lì. Leeson, invece, teme che l’episodio incrini la sua immagine di trader infallibile.

Decide quindi di spostare la perdita in un “errore account” interno, identificato dal numero 88888. Questi conti servono normalmente per correggere piccole discrepanze tecniche, non per nascondere perdite reali.

Da quel momento 88888 smette di essere un banalissimo conto di servizio e diventa una discarica nascosta di perdite. Ogni volta che una scommessa va male, la perdita non viene registrata sui libri ufficiali, ma parcheggiata lì. Per recuperare, Leeson alza la posta: non più semplice arbitraggio, ma posizioni direzionali enormi su futures e opzioni sul Nikkei e sui titoli di Stato giapponesi.

Il meccanismo psicologico è quello classico del giocatore di casinò:

“Ho perso, ma se raddoppio adesso recupero tutto.”

Finché il mercato lo asseconda, il trucco regge. Le perdite occultate vengono coperte da nuovi utili apparenti. Ma sotto la superficie il conto 88888 diventa un cratere: a fine 1994 le perdite nascoste superano i 370 milioni di dollari di Singapore. E nessuno, a Londra, sembra voler capire perché da Singapore servano flussi di finanziamento sempre più consistenti.

La scommessa fatale sul Nikkei: dal terremoto di Kobe al collasso di Barings

A inizio 1995 Leeson costruisce una gigantesca scommessa: punta sul fatto che l’indice Nikkei resterà sopra quota 19.000. È esposto contemporaneamente con:

  • posizioni long su futures Nikkei;
  • posizioni short su futures sui titoli di Stato giapponesi (JGB);

Il 17 gennaio 1995 il terremoto di Kobe devasta una delle principali aree industriali del Giappone. I mercati reagiscono come prevedibile: il Nikkei precipita, la volatilità esplode, i premi incassati sulle opzioni diventano una trappola mortale.

Leeson fa quello che ha sempre fatto: raddoppia ancora. Apre nuove posizioni sperando in un rimbalzo violento del mercato. Il rimbalzo non arriva. Entro fine febbraio, il buco complessivo è di circa 827 milioni di sterline, più del capitale dell’intera Barings Bank. Di fatto, la banca è tecnicamente fallita.

Quando la montagna di posizioni irregolari viene finalmente scoperta, è troppo tardi. In pochi giorni, il gioiello storico della finanza britannica viene ceduto a ING per una sterlina simbolica.

La banca della Regina non esiste più.

Dopo il crollo, il governo britannico incarica il Board of Banking Supervision di indagare sulle cause del disastro. Il verdetto è duro non solo su Leeson, ma soprattutto su Barings stessa.

Le principali criticità emerse:

  • Segregazione delle funzioni inesistente
    Leeson controllava sia trading che back office. Poteva autorizzare e registrare operazioni senza veri controlli indipendenti. Questo gli permise di manipolare i dati e usare conti segreti per anni.
  • Catene di comando confuse
    La struttura “a matrice” tra Londra, Singapore e altre sedi rendeva poco chiaro chi fosse realmente responsabile del monitoraggio delle attività di BFS. In pratica, nessuno sentiva “sua” quella responsabilità.
  • Profitti fuori scala, nessuna domanda
    In alcuni momenti, oltre il 60% dei ricavi globali sui derivati proveniva da Singapore. Eppure nessuno, nel top management, si chiese seriamente come fosse possibile generare margini così elevati da una presunta attività di arbitraggio a basso rischio.
  • Raccomandazioni dell’audit ignorate
    Un audit interno del 1994 aveva già evidenziato gravi debolezze nei controlli e nella struttura dei flussi informativi. Le raccomandazioni furono implementate lentamente o non lo furono affatto.

La caduta di Barings non fu dovuta alla complessità dei prodotti, ma al fallimento di persone e processi di controllo. Il messaggio implicito alla City è chiaro: non potete affidarvi al mito del “trader geniale” e chiudere gli occhi su quello che fa.

Dopo il collasso della banca, Leeson tenta la fuga. Lascia Singapore, ma viene arrestato a Francoforte e poi estradato. Nel 1995 si dichiara colpevole di frode, falsificazione di documenti e truffa ai danni della SIMEX. La sentenza: sei anni e mezzo di prigione in un carcere di massima sicurezza. Ne sconterà quattro, uscendo nel 1999 anche a causa di un tumore al colon che verrà poi curato.

Una volta libero, trasforma la sua storia in un prodotto editoriale. Pubblica l’autobiografia Rogue Trader, da cui verrà tratto il film omonimo con Ewan McGregor. Da simbolo del fallimento dei controlli bancari, diventa relatore richiesto in conferenze su risk management e cultura aziendale.

Negli anni successivi assume diversi ruoli come consulente. Nel 2025 accetta la posizione di Non Executive Advisor presso la fintech Hedgx, specializzata in infrastrutture di gestione del rischio per broker e prop firm. Nelle interviste insiste su un punto: il vero problema di Barings non fu solo il suo comportamento, ma l’assenza totale di una cultura del rischio e di persone disposte a sfidare il consenso interno.


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